Pettorano sul Gizio è un piccolo comune nella provincia dell’Aquila, in Abruzzo. Incorniciato dalle montagne, protetto dal fiume Gizio, Pettorano fa parte della Comunità montana Peligna e del club i borghi più belli d’Italia avendo conservato per secoli dei veri tesori architettonici. Il borgo è di origine medievale, le interpretazioni etimologiche del toponimo Pettorano sono state diverse: secondo alcuni deriverebbe da pettorale, per la forma a petto di corazza assunta dall’insieme urbanistico. Secondo altri da pettorata, termine dialettale con cui si indica una ripida salita, per designare in questo caso il dirupo che dalla Valle del Gizio sale fino al Piano delle Cinquemiglia; altri lo spiegano come derivato dal sostantivo greco petra,-as (=pietra, roccia) per indicare la natura rocciosa del sito; altri infine da Pictorianus, nome di un pagus romano legato al gentilizio Pictorius.
Pettorano sul Gizio è un luogo immerso nella tranquillità, ricco di storia e di forti tradizioni religiose e conta la presenza di diversi palazzi storici e chiese molto antiche. Particolarmente interessante è il Castello Cantelmo, perfettamente conservato, fu costruito nel medioevo tra l’XI ed il XV secolo. È caratterizzato da due torri laterali circolari e da un torrione centrale a base pentagonale e la torre a puntone edificata a scopo difensivo. Meritano una visita anche Palazzo ducale Castaldina del Settecento, dove il cortile interno ospita un elegante giardino con una fontana risalente al cinquecento, Palazzo De Stefanis in stile barocco e costruito nel cinquecento e la Chiesa Matrice di San Dionisio di origine medioevale.

Si narra che l’acqua del fiume Gizio in punto a mezzanotte della fine dell’anno, si arresta e diventa oro. Una donna che non sapeva tutto questo si trovò ad attingere proprio in quel momento e, invece dell’acqua, portò a casa una conca d’oro.

Il centro storico di Pettorano sul Gizio ricade tutto all’interno dell’area protetta del “Monte Genzana Alto Gizio”, caso unico nel panorama complessivo delle riserve naturali regionali. Precisi vincoli tutelano così le bellezze della natura insieme a quelle edificate dall’uomo. Per gli amanti della natura tra i luoghi da non perdere vi è la Riserva Naturale del Monte Genzana, un’area protetta che si estende per oltre 3000 ettari. La Riserva è un corridoio ecologico tra i due Parchi Nazionali d’Abruzzo e della Majella che racchiude numerosi ambienti naturali e specie animali. La vegetazione va dai salici e dagli ontani neri del fiume Gizio alle roverelle e ai carpini delle zone collinari, ai faggi e agli aceri in alta quota. Tra la fauna, l’orso e il lupo sono i padroni di un ambiente incontaminato che, tra l’altro, conta la significativa presenza di 116 tipi di farfalle diurne sulle 131 censite in tutta l’Italia centrale.

I mugnoli ed il paese di Pettorano sul Gizio sono legati da un legame profondo, che porta la comunità stessa ad identificarsi con questo ortaggio e viceversa.

Questo ortaggio, infatti, viene coltivato esclusivamente nei campi pianeggianti sottostanti il centro storico di Pettorano sul Gizio da famiglie di ortolani che hanno tramandato, di generazione in generazione, i “saperi” e le tecniche di coltivazione di questa verdura straordinaria, dal gusto delicato, ricercata per la cucina.

E’ uno dei pochi ortaggi invernali, ma unico nel suo genere, grazie al microclima che il territorio di Pettorano sul Gizio offre dovuto alla presenza del Monte Genzana ed all‘acqua del fiume Gizio.

Il Comune di Pettorano sul Gizio ha istituito la De.Co. (denominazione comunale d’origine) con determina della giunta comunale n.66 del 2021 per il mugnolo sia fresco che lavorato: in particolare la denominazione De.Co. indica l’origine dei prodotti ed il loro legame storico e culturale con il territorio di Pettorano Sul Gizio (AQ).

Il legame con il territorio è dimostrato da fattori storici, economico-produttivi e culturali.

Tale legame si esplica sulla base dei seguenti criteri principali:

1. materie prime

2. luogo di lavorazione

4. originalità

I prodotti che ottengono il marchio sono strettamente controllati da un’apposita commissione comunale e devono rispondere ad un disciplinare ben preciso.

Nell’antichità gli ortolani di Pettorano sul Gizio, d’inverno, quando l’avara montagna abruzzese non dispone di nessuna verdura fresca, trasportavano il loro prezioso prodotto nei mercati dei paesi limitrofi (spesso infatti i mugnoli venivano barattati con altri prodotti, soprattutto patate, lenticchie e solina).

Il mercato più ambito era quello della vicina città di Sulmona dove i mugnoli, posti in grossi canestri trasportati sulla testa dalle donne nel loro caratteristico abito pettoranese, venivano presi letteralmente d’assalto dalle massaie e ristoratori della città di Ovidio che conoscevano la ricercata verdura anche sotto la denominazione di rapèstre di Pettorano.

Mugnoli su fette della “Polenta Rognosa di Pettorano”

La semina avviene durante il periodo di luna calante, nei mesi di luglio – agosto; anticamente le piantine, verso i mesi di settembre – ottobre, venivano trapiantate in pieno campo, concimato prettamente con letame ovino.

La raccolta inizia nei mesi di novembre – dicembre protraendosi fino anche al mese di marzo. Dalle piante rimanenti nel terreno si ricavano i semi, queste, quando diventano di color paglia ed i semi sono maturi, vengono divelte e conservate appese in luoghi asciutti.

Il mugnolo è un vegetale resistente alle gelate, le quali lo rendono più tenero e gustoso, e non richiede l’uso di concimi chimici per la sua coltivazione, poichè resistente ai parassiti, rispettando in questo modo i cicli naturali.

 

Appartengono alla famiglia delle Brassica napus L., ovvero delle rape, dei navoni e dei cavoli; presumibilmente la loro coltivazione risale ai primi anni del Novecento e non si può escludere che possano essere stati introdotti dai pastori transumanti che tornavano dalla Puglia, dove svernavano, ed impiantavano presso gli stazzi montani i loro orti estivi.

Con il passare degli anni, il mugnolo si è perfettamente adattato al clima di Pettorano sul Gizio ed attraverso una selezione “naturale”, è diventato la verdura che oggi conosciamo: unica nel suo genere.

Il Castello Cantelmo del XI secolo